Balbino Giuliano e Manara Valgimigli a Massa


SALVATORE RAGONESI

Balbino Giuliano e Manara Valgimigli a Massa.

Un capitolo di storia della scuola nazionale attraverso i verbali del Collegio dei professori del Liceo-Ginnasio “Pellegrino Rossi”. 1911-1916

Pubblicato su la rivista “Le Apuane” e riprodotto su L’Annuario degli ex studenti del Liceo Rossi 1945 - 2010 

Vi sono dei tempi e degli uomini che contrassegnano vicende istituzionali di lunga durata e scandiscono i ritmi profondi della storicità. Tale è in sommo grado il passaggio dal Liceo- Ginnasio “Pellegrino Rossi” di Massa di alcuni personaggi che sono organicamente collegati non solo alla storia di questa Scuola e della comunità locale, ma anche alla vita della scuola nazionale e agli avvenimenti politici, civili e culturali della società italiana. Tra costoro emergono Balbino Giuliano e Manara Valgimigli, che più e meglio di altri validissimi uomini di scuola realizzano pienamente la loro intrinseca vocazione nell’insegnamento, nella sottile venatura pedagogica dell’azione culturale e nell’intenso lavoro di ricerca filologica e filosofica. Certo, personalità diverse per stile, interessi e formazione e tuttavia accomunate, negli anni massesi, dal medesimo senso della responsabilità didattica, dal riferimento al nascente e dirompente movimento nazionale e dal forte impegno nel sindacalismo scolastico. Dopo, nel ventennio fascista, le loro strade divergeranno irrimediabilmente e sarà la rottura dolorosa dell’antica fraterna amicizia.

Balbino Giuliano è piemontese. È nato a Fossano (Cuneo) il 4 gennaio 1879, si è laureato nell’Università di Torino prima in Lettere con il grecista Fraccaroli, nel 1901, e poi in Filosofia con il neohegeliano D’Ercole, nel 1902, e si è formato soprattutto alla scuola di Arturo Graf, poeta e critico di indirizzo socialista e materialista, almeno antecedentemente alla crisi spirituale resa pubblica nel 1905 con lo scritto Per una fede. Manara Valgimigli è romagnolo. È nato a S. Piero in Bagno (allora in provincia di Firenze e oggi di Forlì-Cesena) il 9 luglio 1876, si è laureato in Lettere a Bologna nel 1898 con il Carducci ed è stato anche allievo di Francesco Acri, il filosofo spiritualista traduttore e divulgatore dei Dialoghi di Platone, e di Giovanni Pascoli, l’amico-professore incaricato di Grammatica greca e latina. Entrambi, quando approdano a Massa, l’uno nel 1911 e l’altro nel 1913, hanno già alle spalle diversi anni di servizio scolastico e un nutrito numero di pubblicazioni. Non sono, insomma, degli illustri sconosciuti nell’ambiente del Liceo-Ginnasio che pure vede la presenza di grandi personalità della scienza e della cultura come i professori Silvio Piovano, Luigi Mannucci, Leopoldo Paladini, Rinaldo Pitoni, Alessandro Marchesini, Vittorio Sebastiani, Augusto Romagnoli, Giulio Razzoli, Luigi Lupi, Gino Mazzoni, Alfredo Brunetti, Sante Galgani, Domenico Schianchi, Felice Mondaini, ecc. Non sarebbe inesatto affermare che questo è il periodo d’oro di tutta la storia del glorioso Liceo attraversato contemporaneamente da un così elevato numero di educatori straordinariamente impegnati nelle innovazioni didattiche e nell’attività sindacale, oltre che negli studi e nella ricerca.

Siamo ancora in epoca giolittiana. Gaetano Salvemini ha appena pubblicato il vigoroso libello sul Ministro della malavita (1909) e adesso continua la sua campagna per la difesa della scuola pubblica e l’emancipazione economica e morale della funzione educativa, perché il docente diventi un “maestro” e non rimanga un “mestierante gretto, sfaccendato e arido” all’interno di un “laboratorio di riproduzioni meccaniche”. La scuola nazionale è in fermento, toccata nel vivo dalle stoccate salveminiane e dalla brutalità della burocrazia ministeriale. Anche nel Liceo-Ginnasio di Massa si avverte la propagazione del disagio, assieme alla nuova coscienza pedagogica che circola diffusamente con gli acquisti bibliografici che vengono proposti e con la necessità di dare uno spazio adeguato alla biblioteca dei professori ed a quella degli studenti. Le discussioni su questo punto si ripetono e segnano un momento alto del dibattito collegiale. La ventata neo-idealistica si fa sentire nel linguaggio che viene usato e nei problemi che vengono posti. La battaglia quotidiana contro il pedagogismo positivista assume qui una dimensione che difficilmente si riscontra in altre realtà scolastiche: i docenti non intendono più essere considerati dei semplici strumenti della trasmissione meccanica e introducono, con la necessaria gradualità, gli opportuni aggiornamenti metodologici e contenutistici ai programmi ministeriali e fanno un uso positivo degli spazi che si aprono alla libertà d’insegnamento, come si evince dalle verbalizzazioni puntualmente stilate da Balbino Giuliano e da talune relazioni didattiche (iniziali e finali) redatte da singoli docenti, in barba alle prescrizioni ed alle ispezioni ministeriali.

Sul fronte della cultura nazionale cominciano ad avere successo le collane laterziane dei Classici della filosofia moderna, degli Scrittori d’Italia e della Biblioteca di cultura moderna, che sono anch’esse, assieme alla collana dei Filosofi antichi e medievali inaugurata nel 1915, una grande scuola di educazione contrapposta ad un positivismo che si è distinto per la sua ignoranza della storia della filosofia e della letteratura o almeno per un mancato approccio diretto ai testi e quindi per un uso improprio del sapere filosofico e letterario attinto semplicisticamente da manuali più o meno attendibili. La collana dei Filosofi antichi e medievali propone nel 1916 la Poetica di Aristotele tradotta e curata da Manara Valgimigli, che vi premette peraltro la stupenda introduzione poi ristampata, sempre per Laterza, in Poeti e filosofi di Grecia (1941). E si consolida l’importanza della Critica fondata e diretta da Benedetto Croce con la collaborazione di Giovanni Gentile per molti anni, fino al loro amaro distacco. Questa rivista, specialmente negli anni precedenti la prima guerra mondiale, è per la classe docente una cattedra pubblica che orienta, suggerisce nuovi spunti e affina la sensibilità sui problemi storiografici, estetici e metodologici, in tutt’altra direzione rispetto alle riviste promosse dalla mentalità positivistica. L’iniziativa di Croce e Gentile ha un rapido sviluppo e un impatto formidabile sulla scuola italiana, costretta a revisionare la propria impostazione. E una ventata innovativa che entra pure nel Liceo “Rossi” e si fa sentire con maggiore forza quando vengono proposti in sede collegiale i nuovi acquisti bibliografici e gli abbonamenti alle nuove riviste che vanno a sostituirne altre meno affidabili di rozza e chiara marca scientista: “Si passa infine alla ripartizione della dotazione scolastica. All’unanimità si approva che L. 200 vengano assegnate al gabinetto di Scienze naturali, L. 300 al gabinetto di Fisica, L. 250 alla Biblioteca. Si conferma però l’abbonamento a tutte le Riviste dell’anno passato: però alla Riv. [ista] di Elettricità si sostituisce la Riv. di Scienze. Si disdice l’abbonamento alla Cult, [ura] filosofica e si prende l’abbonamento alla Riv.di Filologia classica”1.

L’arrivo di Valgimigli nel Liceo massese accelera il dibattito pedagogico-didattico e politico. Egli è portatore di istanze educative che intrecciano più fortemente pedagogia e politica e mettono a nudo le gravi lacune nella compagine spirituale della nazione, mentre tentano di ricostruire un tessuto di aspirazioni neo-risorgimentali e democratiche nella brevità di circolazione tra scuola e società. Il suo impegno è perciò variamente distribuito all’interno e all’esterno dell’istituzione scolastica, tra l’intensa partecipazione alla vita della scuola e al suo progresso e l’immersione nella più larga battaglia politica per il rinnovamento dell’Italia e della sua classe dirigente. Egli è un classicista profondamente immerso nella contemporaneità e perciò la sua azione trova una giustificazione nello studio della letteratura greca riscoperta e rivalorizzata secondo i significati di una modernità vissuta consapevolmente e intensamente nell’indissolubile rapporto circolare con il mondo classico. Diventa per lui inevitabile il collegamento non solo con la scuola salveminiana, ma anche con quella crociano-gentiliana. L’intrinseco bisogno di legare letteratura classica e attualità lo avvicina maggiormente alla posizione di Gentile espressa in una serie di interventi di storiografia filosofica e pedagogica che hanno lasciato un segno indelebile. E questo un debito che Valgimigli paga volentieri al filosofo siciliano, del quale riconosce anche i meriti in campo scolastico per aver chiarito, alla luce del suo attualismo, la natura del rapporto educativo e didattico con la giustamente celebre opera laterziana Sommano di pedagogia 2.

I debiti contratti nella sfera intellettuale debbono essere pagati con la moneta preziosa della critica, che è riconoscimento dei meriti e dei demeriti, del bene e del male e quindi sempre capacità di distinguere il prima e il dopo, e di storicizzare i momenti e gli avvenimenti. Valgimigli, che è uno spirito schietto e libero, riconoscerà sempre i meriti di Gentile, pur allontanandosi da lui per ragioni ideologiche, e ne difenderà la riforma scolastica del 1923 che “muove da esigenze e dottrine interne che sono anteriori di parecchi anni al fascismo”3. E indicherà il Sommario di pedagogia come il “libro capitale” per una generazione di educatori che si era scontrata con le difficoltà e le meschinità della burocrazia ministeriale di estrazione positivista. E ricorderà quella visita ispettiva nel Liceo massese che lo aveva tramortito: “E ci fu un ispettore che una volta da me esigeva anche il computo di quante e quali poesie di Orazio e Catullo avrei lette, e quali lasciate, e quali fatte imparare a memoria; e così via. Ecco dunque la prima conseguenza di questa mentalità positivistica che pone la scuola nel contenuto: il burocraticismo”4. L’episodio ha un preciso riscontro nei verbali del collegio stilati da Balbino Giuliano, al quale bisogna essere grati per la freschezza e immediatezza delle annotazioni.

Giuliano inaugura, nella compilazione dei verbali delle sedute collegiali, uno stile che riflette il nuovo clima idealistico: non più formulazioni banalmente scialbe e precostituite ma libero scorrimento degli argomenti secondo la dialettica del dibattito collegiale. E un vero piacere leggere quei verbali scritti con grafia sempre chiara e regolare, nei quali si avverte il reale andamento della discussione con gli interventi di uomini reali e la rappresentazione concreta e precisa delle loro istanze culturali e didattiche. Ed è una vera fortuna che quei registri siano sopravvissuti alle varie vicissitudini, giacché lì si trova una miniera di notizie utili a chi voglia ancora ricostruire le vicende della scuola locale e nazionale nel primo Novecento. Le contorsioni successive del filosofo piemontese non possono oscurarne l’attività precedente, che deve essere preservata e giudicata in modo libero e autonomo, cioè quasi a separarla dalla futura azione politica in qualità di militante fascista e ministro dell’Educazione Nazionale responsabile nel 1931 del giuramento di fedeltà al regime imposto ai professori universitari: “Il regime quando è attaccato si difende; ed è il suo dovere”5. In realtà, la fascistizzazione dei professori universitari ad opera del Ministero contraddice le ragioni della pedagogia idealistica precedentemente professata e praticata e induce a ritenere che si tratti di un vero tradimento di quelle ragioni maturate ed espresse nel periodo massese.

Non è pensabile, negli anni di cui stiamo discorrendo, un Giuliano legionario a Fiume con D’Annunzio nel settembre 1919 e quindi irriducibilmente fascista e sodale e camerata dei Farinacci, dei Giunta, dei Giuriati e degli estremisti intransigenti, firmatario, tra i primi, del Manifesto degli intellettuali fascisti del 1925, difensore del libro di testo unico e obbligatorio per la scuola elementare e promotore del giuramento di fedeltà al regime. Molto sottile e complesso è l’itinerario che lo porta alla tragica svolta. Vi è in mezzo la prima guerra mondiale, il movimento nazionalista, l’intervento dell’Italia e il dopoguerra, e ciò costituisce certamente uno dei canali di confluenza verso l’esito fatale, come lo è per molti altri intellettuali di valore non mediocre. Provveditore agli Studi di Milano dal 1923 al 1924, deputato dal 1924, sottosegretario nel 1924-1925 al Ministero della Pubblica Istruzione e poi ministro dell’Educazione Nazionale dal 1929 al 1932, senatore dal 1934, presidente dell’Istituto di studi filosofici dal 1920 al 1932, membro del Gran Consiglio e docente universitario di filosofia morale a Firenze, Bologna e Roma, egli sembra un’entità diversa e antitetica rispetto a quel professore liceale tanto caro ai colleghi ed agli studenti massesi e allo stesso Piero Gobetti che lo ha come insegnante di filosofia al Liceo “Gioberti” di Torino nel 1917-1918. Non possiamo dimenticare che Energie Nove, il periodico gobettiano dai forti interessi pedagogici e politici, si apre nel novembre del 1918 con un articolo di Giuliano sul “rinnovamento interiore” e accoglie via via altri suoi scritti etico-politici, come li accoglierà Rivoluzione liberale, anche se in misura ormai più ridotta. Eugenio Garin, nelle sue Cronache di filosofia italiana, accenna a questa collaborazione e allo scontro premonitore con Antonio Gramsci6. Ma, dicevo, i debiti contratti nella sfera dell’intelletto devono essere pagati con la giusta comprensione, sicché appare oscuro il motivo per il quale sia stato occultato per tanti decenni, e non solo a Massa, un personaggio illustre (seppur contraddittorio) a cui è collegato un capitolo di storia e un prezioso monumento di memoria documentale.

Appena arriva al Liceo di Massa, a Giuliano viene assegnato l’incarico di segretario del collegio dei professori e svolge tale funzione ininterrottamente, saltando solo qualche seduta, fino al luglio 1916. Scrittore elegante e non privo di ironia e acutezza, egli fa valere queste sue qualità nella trascrizione sintetica delle sedute collegiali. I suoi verbali sono dei veri capolavori nel loro genere e costituiscono atti insostituibili non solo per il realismo delle vivaci annotazioni, ma anche per la straordinaria e immediata penetrazione concettuale del dibattito collegiale. Mai una sbavatura, un’incertezza linguistica, un'enfatizzazione di avvenimenti interni o esterni alla Scuola, e sempre precisione e rigore nella rappresentazione di tutte le opinioni, sia pure nella forma necessariamente veloce della scrittura tecnico-giuridica. Questi verbali raccontano in presa diretta la vicenda culturale e professionale di grandi intellettuali e la stessa vita istituzionale e didattica nel suo scomporsi e ricomporsi, nella sua forte tensione etico-politica. Finora essi rimangono dei documenti inediti, che andrebbero pubblicati al più presto e di cui cercherò tuttavia di fornire un ragguaglio essenziale per farli uscire dall’oscura clandestinità.

Segnalo, per comodità di narrazione, i punti salienti del dibattito collegiale man mano che si dispiegano cronologicamente nella compilazione dell’insigne estensore: “Il giorno 18 ottobre 1911 si è riunito il Collegio degli insegnanti del R. Liceo-Ginnasio in seduta ordinaria per la scelta dei libri di testo e per le disposizioni preliminari all’apertura dell’anno scolastico. Presiede il Preside Prof. Piovano. Sono presenti [...] Riguardo ai libri di testo si propongono questi cambiamenti: il Prof, di Italiano propone come libro di lettura le Prose di Gabriele D’Annunzio edite dal Treves. Non si nasconde che una tale scelta possa sembrare audacia nuova! Ma egli non crede che solo perché il D’Annunzio non è ancora passato alla Storia non si debba far conoscere la sua prosa che oltre ad avere tutta la vivacità di una gagliarda giovinezza è veramente, come dice il Bacci, una grande prosa nutritiva di un tesoro raggiante di pensieri e di fantasmi che vivono e vivranno eternamente nelle belle parole. Fa osservare poi che si tratta di una certificata scelta di prose adattissime ai giovani e che quindi la scuola non ha ragione di temere quel verismo che idealizzato dalla tavolozza del D’Annunzio in una festa di colori e di forme potrebbe anche nuocere alla formazione del carattere giovanile [... ] Si approva anche l’abolizione delle Notizie e forme metriche del Casini, testo ora inutile, essendo stati adottati nella 5A ginnasiale gli Elementi di letteratura del Pellegrini che possono servire anche per il liceo [...] Esaurito questo argomento, si prendono accordi per l’orario e si dà l’incarico ad una Commissione che compili uno schema in cui si tenga conto di ogni esigenza didattica. E così si apre la discussione sulla necessità di evitare il sovraccarico intellettuale [...] Il Collegio dei Professori conviene nell’affermare l’aspirazione concorde di usare ogni mezzo per tenere sempre desta l’attività mentale dei giovani col minimo sforzo possibile, distribuendo nell’orario opportunamente le lezioni che richiedono maggiore tensione intellettuale, ordinando equamente l’assegnazione dei temi in modo da evitare sbalzi e interruzioni di lavoro mentale, ogni giorno dai giovani si richieda quello sforzo che è possibile richiedere. Il prof. Mannucci avverte che riguardo ai sunti si regolerà caso per caso secondo lo svolgersi dell’insegnamento, sembrandogli soverchio pretendere sunti ogni otto giorni”7.

Ho voluto riportare ampi brani del verbale per evidenziare, una volta per tutte, non solo la grande capacità di sintetizzare discussioni lunghe e faticose, ma anche la modernità della scrittura e dei temi, che impegnano con molta serietà l’attenzione dell’intero collegio. Sono i problemi scottanti della scuola nazionale che ne segnano la storia interna ed esterna. Non è cosa indifferente l’adozione di un libro di lettura anziché di un altro, come non lo è la predisposizione di un orario settimanale delle lezioni o l’equa distribuzione dello sforzo intellettuale di docenti e studenti al fine di evitare la preoccupante e antididattica degenerazione meccanica dell’insegnamento-apprendimento. Sui temi assai scottanti del “sovraccarico” di lavoro e dei “sunti” si preannunzia uno scontro durissimo con i Regolamenti ministeriali che pretendono di pianificare dall’alto tutta l’attività della scuola senza badare ai ritmi e all’efficacia dell’azione didattica. L’adozione “rivoluzionaria” delle Prose scelte di Gabriele D’Annunzio come Autore meritevole di fare il suo ingresso negli studi classici rivela invece un tentativo audace di venire incontro alle nuove esigenze culturali senza però offendere la sensibilità estetica dei giovani, anzi procurando di coltivarla nel modo più conveniente a contatto con una scrittura spigliata e immaginifica attentamente sorvegliata dall’intelligenza didattica del docente. Anche l’eliminazione del libro specifico di metrica in prima liceo può essere considerata una vera novità e fa intendere che abbia provocato una articolata e intensa discussione collegiale.

Dal verbale del primo ottobre 1912 si apprende che il preside Silvio Piovano è assente per malattia e che lo sostituisce il prof. Vittorio Sebastiani: “Il giorno 1 ottobre 1912 alle ore 16 si raduna il Collegio dei Professori del R. Liceo-Ginnasio. Nessuno assente. Il Prof. Sebastiani comunica che, essendo assente per malattia il Preside Prof. Silvio Piovano, egli ebbe l’incarico di supplirlo nell’ufficio di Preside, e i prof.ri Mannucci e Razzoli ebbero l’incarico di supplirlo provvisoriamente nell’insegnamento del latino e del greco. Il collegio approva quindi un telegramma da spedirsi al Preside augurandogli pronta e completa guarigione che lo restituisca alla scuola ed ai colleghi8. Nulla sfugge alla diligenza del verbalizzante. Apprendiamo così che il preside Piovano non ritornerà più in servizio e morirà di lì a poco: “Il giorno 3 novembre ad ore 16 si è radunato il Collegio dei Professori del R. Liceo-Ginnasio di Massa sotto la presidenza del Preside f.f. prof. Vittorio Sebastiani [...] Il f.f. Preside propone una commemorazione del Preside Piovano in occasione della trigesima della morte. Il Collegio accetta la proposta del f.f. Preside e anche la proposta del prof. Razzoli di apporre una lapide che ricordi il nome del Preside Piovano. Viene incaricato il Prof. Paladini di tenere il discorso commemorativo”9. La commemorazione del preside latinista nel trigesimo della sua scomparsa non è un semplice dovere formale, ma l’occasione per il ricomporsi della comunità scolastica attorno al significato dell’attività educativa e culturale sotto l’insegna del liberalismo pedagogico. E arriva subito il nuovo preside Rinaldo Pitoni: “Il giorno 18 Dicembre ad ore 14 si raduna il Collegio dei Professori del R. Liceo-Ginnasio di Massa. Sono presenti tutti meno il Prof. Sebastiani, che ha giustificato la sua assenza. Presiede il Preside Prof. Pitoni”10. Adesso vi è uno scienziato alla direzione dell’Istituto, e tuttavia l’indirizzo didattico e pedagogico non cambia, giacché la sua vasta cultura, il suo stile affabile e il suo schietto modo antidogmatico di concepire la scienza lo avvicinano senz’altro allo spirito autenticamente umanistico e lo rendono disponibile alle aperture della nuova istanza di collegialità.

Dal verbale del 18 dicembre 1912 si ricavano notizie utili sulla biblioteca e sulle condizioni strutturali e igieniche del prestigioso Liceo: “Il Preside avverte i Professori che è necessario soprassedere all’acquisto di nuovi libri, essendovi parecchi debiti da pagare per libri già acquistati; l’invita poi a fare una nota di quei libri della Biblioteca che ciascuno desideri avere in Liceo per l’uso giornaliero della scuola. Il Prof. Lupi fa notare l’utilità di un catalogo depositato in Liceo da cui risultino quali libri della Biblioteca siano di proprietà del Liceo. Il Preside dice che chiederà aiuto al Ministero e per questa e per altre bisogne, fra cui quella grave della mancanza di un archivio. Dice poi di aver chiesto al Municipio che i miseri tavoli delle aule siano sostituiti da cattedre decorose, ma aver avuto in risposta che i Professori avevano sempre creduto inutile tale sostituzione. Il Prof. Mannucci ricorda che invece ogni anno si fece voto per tale sostituzione. Il Collegio prega anche il Preside che voglia dal Municipio sollecitare nuovi pavimenti più igienici, coi nuovi banchi, e infine raccomodamenti di porte e finestre per riparare un po’ meglio le aule dall’inverno che è inverno anche a Massa”11.

Bisogna ricordare che la sede del Liceo si trova ancora nel vecchio edificio che aveva già ospitato il famoso Collegio dei Gesuiti in Via Palestro, dove persistono le antiche strutture rese ormai fatiscenti. Non è il caso di sottolineare, nell’austero ambiente classicista e nel tempio della scienza cittadina e nazionale, la penetrazione di un sottile spirito ironico, che sembra quasi ammorbidire il rigore dell’inverno apuano. Balbino Giuliano riesce a rappresentare con poche incisive pennellate tutto il disagio della situazione.

Nell’ottobre del 1913 prende dunque servizio nel Liceo Manara Valgimigli, che adesso ha trentasette anni ed è nella pienezza delle sue energie intellettuali, nonostante la fatica dei continui trasferimenti scolastici per la Penisola e il dolore per la morte della giovane moglie Sandrina il 9 luglio 1904. Egli partecipa all’adunanza collegiale del 7 novembre nella quale vengono affrontati i temi assai delicati dell’orario scolastico, della biblioteca, della programmazione didattica e della ripartizione dei fondi. Giuliano annota: “Il Preside dà lettura dell’orario compilato a cura dei Proff. Paladini e Marchesini ed il Collegio approva, salvo alcuni piccoli ritocchi che a richiesta degli interessati si vedrà se possibile effettuare senza alcun inconveniente d’ordine didattico. Il Preside spiega poi perché abbia deciso d’iniziare le lezioni alle ore 9 durante il periodo invernale anziché alle 8 o alle 8,30 come era consuetudine nel passato. Questa innovazione era ardentemente desiderata dalle famiglie dei giovanetti delle prime ginnasiali, e l’anno scorso si ebbe a deplorare il ritiro di parecchi allievi dell’Istituto appunto perché le condizioni climatologiche locali e più specialmente l’ubicazione dell’Istituto che sorge in una strada spazzata nelle prime ore del mattino dai venti che scendono dal monte Brugiana, rendono pericolosi per la salute di allievi gracili quelle primissime ore mattutine. Si stabilisce però che nel periodo estivo si debba tornare all’antico iniziando le lezioni alle 8 antimeridiane [...] Si dà lettura dei programmi didattici dei Proff. Galgani, Mondaini e Valgimigli, che risultano approvati dopo matura discussione [... ] Il Preside annunzia che è obbligo del Collegio dei Professori stabilire tassativamente la natura e la qualità dei compiti domestici da assegnarsi per ogni classe nella settimana di studio; ricorda come parecchie volte il Ministero abbia dovuto richiamare l’attenzione dei Capi d’istituto e del Collegio dei Professori sopra il troppo lavoro assegnato a casa, mentre è buona massima pedagogica far lavorare più che si può il giovane nella scuola, lasciandolo il più che si può libero fra le pareti domestiche; come l’intero Collegio debba interessarsi a questa questione specialmente in questi giorni in cui è convocato a Milano il convegno dei padri di famiglia ed infine come più volte il Ministero abbia ricordato essere dovere dei colleghi di studiare e discutere i propositi degli altri colleghi relativamente alla scuola senza timore di ferire suscettibilità alcuna, poiché l’interesse dell’insegnamento e l’autorità del Collegio si sovrappongono a qualunque considerazione individuale”12. Sembrano discussioni vane e invece sono cariche di significazioni didattiche, poiché la collegialità è un valore decisivo e accompagna tutta la lunga vicenda democratica dell’istituzione scolastica. Lo stesso preside, che è anche un docente, svolge la funzione di coordinatore dei suoi colleghi e trae la sua autorevolezza dalla preparazione scientifica e dalle qualità pedagogiche, anziché da una investitura politica che cade dall’alto secondo un criterio di convenienza ideologica o partitica. Egli vive di vita collegiale e ricava dal collegio le indicazioni della sua azione verso l’interno e l’esterno, e rimane soprattutto una guida didattica.

Occorre rilevare che la consapevolezza didattica matura nel confronto collegiale e che il collegio non è un luogo astratto o un’entità mistica, ma la vivente e operante organizzazione della relazione professionale e culturale e del processo dialettico. Gli uomini di scuola non si riconoscono nell’ideologia individualistica che crea isolamento, dissociazione e contrasti irrecuperabili e quindi accettano di sottomettere all’approvazione collegiale le loro programmazioni didattiche. La pedagogia liberale di questi uomini si incontra con l’attenzione rivolta al bene comune, di fronte al quale recedono le spinte esibizionistiche ed egocentriche. Valgimigli sottopone inizialmente la sua nuova programmazione didattica alla valutazione collegiale e non se ne vergogna, in quanto accetta il sistema dell’integrazione e dell’interdisciplinarità e sa d’altra parte che le singole discipline non sono dei pezzi di carta che si incollano agli studenti, ma dei campi d’indagine, dei metodi, dei modi di vedere il mondo che devono soddisfare i bisogni inevitabilmente rinnovabili e sempre in movimento dell’istruzione. Ciò comporta di spingere lo sguardo nel complesso mondo della cultura e dei saperi e dunque di attingere linfa didattica anche dai colleghi e dal confronto in sede collegiale. La rivoluzione pedagogica iniziata dal pensiero gentiliano ha del resto l’effetto immediato di sollecitare l’ampia e aperta discussione su tutti gli aspetti della vita scolastica, a cominciare appunto dal nucleo primario costituito dai piani didattici individuali e dall’adozione dei libri di testo. Giuseppe Lombardo-Radice, che pubblica nel 1913 per le Edizioni Sandron di Palermo le sue memorabili Lezioni di didattica, teorizza anche per la scuola secondaria la necessità dell’affiatamento fra i docenti: “L’insegnante deve aver fede nella efficienza del contributo proprio al lavoro dei colleghi, e di questi al suo. Giacché un indirizzo, un metodo d’insegnamento non è un gingillo che ciascuno possa costruirsi per suo svago didattico; ritrovato ed escogitazione personale, ma una direzione di pensiero che può divenire feconda nell’opera dell’insegnante quando il più possibile quelli che lavorano con lui [...] ne sentano il valore e la necessità. L’unificazione delle forze educative, dentro e fuori la scuola, è formazione di norme che sono date a liberi spiriti non perché le subiscano, ma perché le facciano proprie, e che sono seguite non perché date ma perché accettate e considerate proprie, cioè trovate, create [...] Ogni disciplina, se si fa astrazione delle altre, è cosa morta; ciascuna vigoreggia del vigore delle altre: la cultura è unità”13. Dunque, la vita etica e l’azione didattica della scuola nascono dalla collaborazione, che implica sempre il riconoscimento del limite dell’agire individuale e rimuove “la mostruosità” del docente chiuso “come il filugello nel suo bozzolo che ignora il filugello dell’altro bozzolo”14. Ma la sede naturale e istituzionale dell’affiatamento e della collaborazione è il collegio degli insegnanti, che rappresenta il momento decisivo della gestione scolastica, almeno in età giolittiana, nonostante i tentativi di svuotamento da parte della burocrazia ministeriale.

Una bella pagina di ordinaria vita scolastica è racchiusa nel verbale della seduta collegiale del 16 gennaio 1914 dedicata ufficialmente all’applicazione di una circolare ministeriale sul “sovraccarico” dei professori. Il ministro della Pubblica Istruzione è ancora il pedagogista Luigi Credaro, che ha tra i suoi meriti quello di aver migliorato le condizioni economiche e la qualità culturale e professionale di maestri e professori e di aver fatto dell’insegnante un protagonista della vita sociale e politica. Il suo nome rimane legato ad una serie di provvedimenti favorevoli alla partecipazione del mondo della scuola allo sviluppo culturale della nazione, oltre che all’avocazione della scuola elementare allo Stato e quindi alla realizzazione più organica dell’obbligo scolastico, sottratto alle possibilità economiche dei Comuni, e all’avvio della riforma di tutta la fascia secondaria dell’istruzione. Convinto herbartiano, egli si presta agli attacchi della nuova pedagogia idealistica, ma da uomo di scuola è capace di mobilitare gli animi e di interloquire direttamente con la base docente. Il collegio dei professori del Liceo di Massa si rivolge a lui in particolare per fargli presenti le condizioni disperate in cui si trova la struttura scolastica: “Il Collegio dei Professori ricorda i pavimenti polverosi di vetusti mattoni, resi dal tempo friabili; la cattiva condizione degli uffici, degli scaffali per materiale scolastico, delle ritirate; l’assenza di qualunque mezzo di riscaldamento per cui non è possibile esigere dagli allievi la debita concentrazione durante le giornate invernali, assai spesso rigide e piovose; il bisogno di restauri esterni; la infiltrazione dell’umidità in alcune pareti del locale”15. Con quest’appello il collegio intende dirottare la somma stanziata per la costruzione della palestra verso una destinazione più consona. Dopo l’appello al ministro e alle autorità locali il collegio riprende il filo del discorso: “Dopo di che, data lettura della circolare n.6 del 31 Dicembre 1913, il Preside apre la discussione in proposito, la quale procede minuta ed accurata fino alle ore 17,30”16.

È curioso notare che fra tanti eccellenti uomini di scuola e di scienza, nessuno di loro desideri una promozione per merito, che significa accelerazione della carriera e incremento dello stipendio. A costoro basta l’acquisita consapevolezza di svolgere una grande missione pedagogica nell’interesse nazionale e di ottenere la massima considerazione sociale, sicché rifiutano con orgoglio di sottostare a speciali ispezioni in vista di una miserevole progressione di carriera: “Il Preside crede suo dovere rivolgere domanda ai Professori se alcuno di loro desideri di avere qualche speciale ispezione in vista della possibilità di sollecitare una promozione per merito; ma nessun professore esprime un simile desiderio”17. Nessuno ritiene di doversi proporre per l’avanzamento di carriera, anche se molti si sono già distinti nei vari campi della ricerca scientifica e nell’attività didattica. A questa data, per esempio, Valgimigli ha pubblicato ottimi e consistenti lavori filologici come Di alcune favole antiche (1900), La trilogia di Prometeo (1904), La critica letteraria di Dione Crisostomo (1911) e sta lavorando accanitamente sulla non facile ricostruzione del testo aristotelico della Poetica. Egli è inoltre in contatto con le élites della cultura nazionale e collabora attivamente alle riviste promosse da Salvemini e Lombardo-Radice. E Giuliano, da parte sua, ha dato alle stampe L’idea religiosa di Marsilio Ficino (1904), La religiosità dello spirito (1910), Il torto di Hegel (1912) e sta ora scrivendo II primato di un popolo: Fichte e Gioberti (apprezzato pure da Gramsci) e soprattutto II valore degli ideali, che saranno editi rispettivamente da Battiato di Catania e da Bocca di Torino nel 1916. La tesi sostenuta in quest’ultimo saggio, il migliore di tutta la sua vasta produzione, è che la famosa identità hegeliana di reale e razionale non regge di fronte all’inesauribile e improsciugabile ricchezza dell’Assoluto, che trascende, include e integra la realtà empirica. Perciò limitare, hegelianamente e storicisticamente, l’Assoluto al solo pensiero significa occultare molta parte della realtà, che non è riconducibile alla pura razionalità in atto. Anch’egli è ormai un riconosciuto protagonista della cultura nazionale; ha collaborato intensamente alle speciali iniziative della Biblioteca Filosofica di Firenze (di cui è stato uno dei fondatori) e alle riviste Coenobium di Giuseppe Rensi e La Nuova Parola di Arnaldo Cervesato e può vantare importanti recensioni dei suoi scritti persino sulla Critica di B. Croce. L’Idea Nazionale di Corradini e L’Unità di Salvemini accolgono adesso i suoi articoli etico-politici.

Un’annotazione di particolare rilievo didattico si coglie ancora nel verbale del 18 novembre 1914 e riguarda proprio Valgimigli e Giuliano, entrambi accomunati nell’aperta dichiarazione di insoddisfazione di fronte ai programmi precedentemente presentati e dal bisogno di dovervi introdurre integrazioni e aggiornamenti per renderli più adeguati alla loro concezione scientifica e all’intelligenza dei giovani. Con le modifiche proposte le loro programmazioni vengono approvate dal collegio, e ciò dimostra ancora una volta che nel Liceo vige un clima sereno di affiatamento che consente il superamento della rigidità dei Regolamenti ministeriali. Il resto del verbale racconta, con il solito gusto letterario e l’immancabile finissimo senso ironico, episodi di ordinaria schermaglia scolastica: “Il Prof. Valgimigli desidererebbe che fosse applicato il campanello elettrico in fondo al cortile per chiamare i giovani all’inizio delle lezioni. Il Preside dice che procurerà di contentarlo ed anche di applicare un campanello nella sala dei Professori per il medesimo ufficio”18. Quante volte nella calorosa disputa collegiale sentiremo queste battute! Ma forse nessun segretario verbalizzante provvederà ad annotarle come sa fare Giuliano con indiscutibile capacità di cronista.

L’inverno del 1914 a Massa deve risultare più insopportabile del precedente, se buona parte della seduta del 10 dicembre verte sulle condizioni climatiche della città e su quelle poco igieniche dell’Istituto. Giuliano annota: “Le condizioni climatiche della città e quelle poco igieniche del nostro Liceo, largamente dichiarate nelle due passate relazioni finali, costringono ad iniziare le lezioni alle ore 9. Questa modificazione dal Preside introdotta il decorso anno, ridusse le assenze degli allievi, ne migliorò la salute, ebbe il plauso delle famiglie ed il Comitato dei padri di famiglia fece voti perché questa norma fosse sempre seguita per l’inverno almeno”19. Pare che il freddo impedisca anche ai docenti di concentrarsi nell’attività didattica e colpisca indistintamente tutti, forti e deboli, e produca persino qualche difficoltà nella compilazione dell’orario, poiché nessuno è disposto ad accettare di fare lezione il pomeriggio. Il preside si trova perciò costretto a riformulare personalmente l’orario delle lezioni “dopo che fu declinato l’incarico dai vari professori che se ne sono occupati”: “Nel nuovo orario che sottopone all’approvazione del Collegio le 19 ore di matematica sono disposte 17 al mattino e 2 al pomeriggio [...] Le 21 ore di latino e greco sono distribuite 18 al mattino ed in modo che le ore di latino e greco cadano in giorni alternati, e le tre ore residue di latino sono poste nel pomeriggio nei giorni in cui si fa lezione di greco. Le ore di Italiano sono tutte al mattino [...] Circa le lezioni di Fisica, il Preside osserva che egli deve tener conto anche del suo ufficio presidenziale più specialmente occupato nella mattina. Le lezioni di Chimica del 1° anno non esigono speciale attenzione di mente perché costituite da fatti-esperienze sempre dilettevoli, togliendo via qualunque difficoltà teorica. La teoria atomica del resto non diviene chiara se non dopo le lezioni del 2° e del 3° corso. Crede perciò che non gli sarà fatta colpa di aver posto le lezioni di Chimica al pomeriggio. Le lezioni del 2° corso sono collocate due al mattino e una al pomeriggio né meglio si poteva fare. Di quelle del terzo due debbono cadere nel pomeriggio perché altrimenti, data l’infelice disposizione dell’aula non sarebbe mai possibile fare esperienze di ottica, perché la luce non vi penetra che dopo mezzogiorno [...] Il Collegio dei Professori esamina accuratamente l’orario presentato dal Preside. Alcune modificazioni sono proposte in vantaggio della didattica come quella di portare due ore di Latino al sabato anziché al Giovedì nel 1° e nel 2° corso. Ciò riduce consecutivi i due pomeriggi liberi, ma poiché d’altra parte era già tolta la bella armonia di rendere comuni i pomeriggi liberi a tutto l’Istituto non si ritiene questo inconveniente di grande importanza. Dopo di che l’orario è approvato all’unanimità e la seduta cominciata alle ore 16 si chiude alle ore 18 precise”20. Ho voluto trascrivere l’ampio stralcio del verbale per evidenziare particolarmente le terribili e quasi impossibili condizioni in cui lavorano questi valorosi uomini di scuola, che riescono comunque a svolgere la loro “missione” di educatori in concomitanza, per lo più, con i loro pesanti impegni familiari e scientifici. La grande battaglia che loro combattono non è solo quella del necessario rinnovamento culturale e didattico, ma anche quell’altra della richiesta di nuove strutture edilizie, di laboratori più attrezzati, di riscaldamento nelle aule, di locali più decenti e luminosi, ecc. La figura del preside Pitoni è qui scolpita perfettamente, sia pure in modo indiretto, attraverso le sue parole accorate e rassicuranti, i suoi gesti composti, la sua tenace volontà di far funzionare la scuola, il suo non arrendersi di fronte alle enormi difficoltà e il suo sacrificarsi per tutti. Egli è il collega dei colleghi, ma fa valere la sua autorevolezza pedagogica che è fatta di spirito di servizio e non di arrogante potere burocratico. Questa pagina definisce egregiamente, più di ogni altra testimonianza, la reale natura e la concreta dimensione del preside di liceo sul finire dell’età giolittiana.

Nella primavera del 1915 la società italiana è attraversata da tensioni nazionaliste e spinte interventiste. Non è qui il luogo di analizzare tutto l’intreccio, assai complicato, di raggruppamenti e schieramenti della cultura e della stampa dinanzi al problema dell’intervento italiano nella guerra già cominciata tra le potenze europee dopo l’attentato di Sarajevo. Le pagine classiche della Storia d’Italia di Benedetto Croce ci forniscono un quadro illuminante e abbastanza documentato e meditato: “I nazionalisti volevano la guerra per giungere attraverso la guerra al successo e alla gloria militare [...] Anche il sensualismo letterario si convertì in interventismo, e il D’Annunzio, che era tornato in ispirito al tempo della guerra libica, ritornò in persona dalla Francia, e pronunziò orazioni in comizi e in piazza, e il 5 maggio, nell’inaugurazione del monumento ai Mille a Quarto, la cosiddetta Sagra [...] Il decadentismo era assai rapace e largamente operante, specialmente tra i giovani; e uno di questi, di bellissimo ingegno e prode soldato, che cadde tra i primi nella guerra, compose allora uno scritto [...] nel quale con somma serenità confessava quel che egli pensasse della guerra e dell’intervento dell’Italia, negando a ciò ogni fine ideale [...] ma concludendo che la guerra era da volere, e che egli la voleva, in obbedienza alla sua , al sentimento che si era impadronito di lui”21. Gabriele D’Annunzio con la sua Orazione per la sagra dei Mille ed i suoi comizi del “radioso maggio” e Renato Serra con il suo Esame di coscienza di un letterato rappresentano in realtà il mondo variegato della cultura nazionale nell’ora più dolorosa o esaltante, a seconda dei punti di vista, giacché pure gli interventisti democratici come Salvemini e Valgimigli non ragionano tanto diversamente in quella confusa stagione, nonostante i differenti presupposti di forma mentale e di prospettive ideali. Per costoro la partecipazione dell’Italia alla guerra dovrebbe rappresentare un dovere di tutti e il coronamento etico dell’edificio incompleto dell’indipendenza nazionale. Non è facile quindi distinguere l’interventismo democratico di Gaetano Salvemini e Manara Valgimigli dall’interventismo nazionalista di Enrico Corradini e Balbino Giuliano. Sta di fatto che nel Liceo di Massa si verifica la cucitura dei due schieramenti.

Nell’adunanza del 22 maggio 1915, che si svolge nella sala dell’Accademia dei Rinnovati per discutere dei libri di testo da adottare nell’anno scolastico successivo, il preside apre la seduta in modo inusuale, e cioè “con un affettuoso saluto dapprima ai colleghi che hanno dei figli sotto le armi e sulla linea del fuoco, poi a coloro, e sono la quasi totalità, che vi hanno fratelli e congiunti”. Egli solleva poi l’entusiasmo generale quando pronunzia le infuocate espressioni che Giuliano gli mette in bocca: “Dal vivido entusiasmo col quale ogni cittadino corre a soddisfare il supremo dovere dell’esistenza; entusiasmo che bene si manifesta in questa plaga ritenuta a torto centro di teorie sovversive, è dolce augurare del felice risultato della lotta intrapresa per la nostra indipendenza e per i suoi principi della libertà degli uomini e delle nazioni”. Nella forte emotività del particolare e concitato momento lo scrupoloso verbalizzante commette l’errore tecnico-giuridico di scambiare il collegio per il “consiglio” e scrive: “Il Consiglio si associa fervorosamente alle parole del Preside”22. Ma la discussione sull’intervento italiano alla guerra non finisce qui, poiché vi è un altro accenno del preside al fatto che i locali scolastici dell’Istituto “sono stati occupati fin dal giorno 7 del corr. mese dall’autorità militare”. La scrittura ora si fa più nervosa e veloce e le operazioni delle adozioni dei libri di testo si concludono in fretta: “Seduta stante vengono compilati in duplice copia senza correzioni gli elenchi dei libri di testo per le varie classi del Ginnasio e del Liceo e sono subito firmati dal Preside e controfirmati dal Segretario del Collegio dei Professori prof. Giuliano Balbino”23.

Degli intellettuali di fronte alla guerra si è molto parlato, ma non forse ancora con quella pacatezza e precisione di analisi che un fenomeno del genere richiede. La vicenda di Valgimigli e Giuliano può chiarire alle radici la questione: essi sono divisi e uniti nell’atmosfera di un idealismo pedagogicamente e culturalmente valido, ma politicamente fumoso e retorico. L’equivoco consiste nella volontà di trasformare immediatamente le preoccupazioni culturali in preoccupazioni di civiltà, in adesione alle ragioni della guerra e in prassi politica, e questo sia da sinistra che da destra. Sono interventisti, a Torino, anche Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti. Solo Benedetto Croce, nell’ora tremenda, assume una posizione neutralista e non si lascia trasportare nelle tumultuose manifestazioni di piazza. Nel Liceo massese cresce l’entusiasmo per la guerra ed anche il preside Pitoni, pacato uomo di scienza che ha cinquantun anni, diventa un militante politico, sicché nell’adunanza finale del 22 giugno 1915, dopo aver brevemente riassunto gli esiti degli esami “e il modo soddisfacente col quale, malgrado le difficoltà di luogo e di tempo, si svolsero”, e aver ricordato ai professori di utilizzare le vacanze estive per scegliere “colla maggior cura i passi delle antologie e degli autori che intendono leggere o tradurre nel venturo anno scolastico, in modo da assicurarsi della loro opportunità in relazione alla classe nella quale insegnano”, rivolge “parole commosse” ai “nostri fratelli che combattono per assicurare all’Italia le frontiere a cui ha diritto, ed agli Italiani un maggiore posto nella esistenza dei popoli”24. Giuliano poi aggiunge: “Il Consiglio interpretando il pensiero del Preside vota con applausi un indirizzo al primo ministro d’Italia, a cui invia il telegramma seguente compilato dal Prof. Valgimigli: «A S. Eccellenza Antonio Salandra-Roma. Collegio Professori Liceo-Ginnasio Massa riunito annua finale seduta plaude Eccellenza Vostra, che affermando superiori diritti civiltà e nazionalità conduce Italia suoi nuovi maggiori destini». Il Preside ringrazia e la seduta è sciolta fra gli applausi alla futura Italia”25.

Il nuovo anno scolastico 1915-1916 si apre con l’adunanza antimeridiana che si svolge nei locali della Corte di Assise di Massa: “Il 15 Ottobre 1915 alle ore 10,30 antimeridiane il Collegio dei Professori si riunisce al completo nella Corte di Assise di questa città. Apre l’adunanza il Preside portando i ringraziamenti del prof. Ugo Brilli, già Provveditore di questa provincia per le condoglianze e gli auguri che i professori del nostro Istituto gli hanno inviato nella malattia da cui è stato colpito. Aggiunge di aver trovato l’illustre uomo in condizioni di spirito e di corpo che fanno bene sperare per il suo ritorno alla vita operosa della scuola a cui consacrò la sua eletta intelligenza”26. Le condoglianze si riferiscono evidentemente ad un lutto nella famiglia del Brilli, già allievo del Carducci e intimo amico del Pascoli; ma ciò che ancora bisogna notare è l’acribìa estrema di Giuliano, che ci fornisce su tutti i fatti notizie puntuali e circostanziate. A lui nulla sfugge di ciò che avviene in sede collegiale: “Si provvede allo svolgimento dell’ordine del giorno voluto dal Regolamento. Il prof. Brunetti presenta il programma didattico per la prima classe ginnasiale, già depositato presso il Sig. Preside, che ne fa dare lettura. Il programma viene approvato senza discussione dal Collegio dei Professori. Il prof. Galgani dichiara di far suo il programma già presentato dal collega Brunetti l’anno decorso, e già approvato dal Collegio dei Professori. Tutti gli altri professori dichiarano di confermare i programmi già presentati nel passato. Si passa a discutere sulla formazione dell’orario [...] Il Prof. Valgimigli domanda che gli si concedano in ogni classe ed almeno una volta per settimana due ore contigue di latino e greco, per avere il tempo necessario a svolgere il tema in classe; non credendo egli buona norma didattica quella di dare temi da farsi in casa. Bene inteso che egli curerà di far sì che il tema possa essere svolto dentro l’intervallo di 60 minuti, i quali però col sistema delle lezioni di un’ora sola si riducono per necessità a 45 minuti [...] Il Prof. Valgimigli, nella sua qualità di Assessore alla P. Istruzione, assicura il Collegio che i locali saranno pronti la fine del mese. Il Collegio conferma bibliotecario il Prof. Brunetti”27.

La carenza di locali continua ad essere oggetto di dibattito. Nell’adunanza del 23 dicembre 1915, in occasione dello scrutinio trimestrale, il preside osserva che “non si può in questo trimestre assegnare il voto di ginnastica” perché la palestra risulta occupata dall’autorità militare: “E infatti noto a tutti come non si abbia l’uso della palestra occupata militarmente e come non sia stato possibile trovare un locale chiuso dove poter fare esercizi di ginnastica. Il Prof. Valgimigli, continua il Preside, nostro collega ed assessore alla P. Istruzione, è anzi in cerca di locali per sistemare alcune classi elementari che non trovano ancora alloggio conveniente; l’autorità militare ricerca anch’essa altri locali, per conseguenza ogni qualvolta un locale si rendesse disponibile, verrebbe occupato o dall’autorità comunale o dalla militare. D’altra parte mancano anche luoghi aperti, dove esercitare gli allievi, e d’altronde se anche ve ne fossero, le piogge continue avrebbero resa impossibile qualunque esercitazione”28. In- somma, non è possibile per il momento valutare gli allievi in Educazione Fisica e nessuno riesce ad avere dal Ministero risposte soddisfacenti sulle soluzioni da adottare in proposito: “Perciò i capi d’istituto nella loro adunanza del 4 Novembre proposero al Ministero che per quest’anno non si facesse il consueto corso di educazione fisica. Il Preside osserva però che dal Superiore Ministero non giunse fin’ora [sic] nessuna lettera che approvasse il deliberato dei capi d’istituto o indicasse qualche altra soluzione. Il Preside ebbe occasione di scriverne anche alla Divisione V addetta all’educazione fisica, ma non ne ebbe risposta alcuna”29.

Giuliano e Valgimigli rimangono in servizio nel Liceo per tutto l’anno scolastico 1915-1916 e la verbalizzazione ne segue ancora le vicende: “Adunanza del giorno 5 febbraio 1916. Alle ore 12 i professori del R. Liceo-Ginnasio si riuniscono nella Sala di Presidenza per deliberare sulla mancanza disciplinare commessa dall’allievo [...] Il Preside dà la parola al Prof. Valgimigli Manara il quale riferisce sulla condotta tenuta dall’allievo predetto il giorno 3 febbraio alla sua lezione. Resulta che l’allievo si è reso colpevole di modi inurbani verso il professore anche dopo essere stato consigliato a modificare il suo contegno e redarguito di fronte alla classe”30. Al giovane vengono inflitti 15 giorni di sospensione dalle lezioni. Alla seduta dell’8 febbraio Valgimigli risulta assente per motivi di salute: “Il Preside fa notare che essendo malato il Prof. Valgimigli potrebbe darsi il caso che egli fosse nell’impossibilità di dare l’opera sua per gli esami. Propone che ove si verificasse questa male augurata circostanza si sostituisca il Prof. Valgimigli col Prof. Giuliano, il quale possiede la laurea di lettere, e non ha lavori scritti da esaminare come prof, di filosofia. Il Collegio approva quest’ultima proposta”31. Ma l’ipotesi non si verifica e Valgimigli ritorna in servizio ed è presente all’adunanza del 10 giugno per l’adozione dei libri di testo: “Riguardo al latino il Prof. Valgimigli sceglie come autore di prosa per la seconda classe liceale Tito Livio [...] Sceglie il libro 40°, e non crede dover preoccuparsi se vi siano o non siano di questo libro i commenti. Il solo commento veramente proficuo è il commento che nasce nella lezione [... ] Il Prof. Mannucci si compiace di questa scelta, anche come insegnante di Italiano. Egli crede che i testi latini e greci adottati dal Prof. Valgimigli corrispondano in modo speciale alle esigenze intellettuali dei giovani della terza classe, in quanto possono servire di ottimo ammaestramento così per le idee come per la forma allo svolgimento di componimenti di indole morale. Il Preside veduta l’ora tarda propone di rimandare ad altro giorno la discussione per i libri di testo del ginnasio e per terminare l’ordine del giorno [...] fa notare che soltanto i Proff. Giuliano e Valgimigli presentarono al Preside una nota di libri proponendone l’acquisto. Queste due proposte furono compieta- mente soddisfatte e si fece l’acquisto delle opere di filosofia e dei classici per completare la biblioteca”32.

Il collegio riprende i lavori nella seduta successiva del 12 giugno, nella quale il dibattito sulla scelta dei libri di testo per il Ginnasio si fa spigoloso: “Alcuni professori muovono obbiezioni al testo fin’ora [sic] usato Principi di letteratura del Pellegrini. I professori Giuliano e Valgimigli esprimono come premessa fondamentale la loro convinzione che l’insegnamento della Retorica che si fa nella 4A e nella 5A, per tutta quella parte che vuol essere precettistica dell’arte dello scrivere, si fondi su un concetto falso, ed affermano poi che tale insegnamento in genere dev’essere sfrondato di troppe cose, per lo meno inutili, in omaggio all’economia dello spirito”33. Sul terreno didattico la nuova pedagogia dà i suoi frutti, e ottiene un largo consenso e qualche dissenso pure tra coloro che sono aperti alla modernità: “Il prof. Mannucci riconosce che la lettura dei testi dev’essere il fondamento dello studio del latino, ma è del parere che si tenda ora forse ad esagerare nel deprezzare lo studio e l’esercizio grammaticale. Ed è del parere che tale esagerazione sia addirittura funesta nel Ginnasio”34.

L’ultima adunanza a cui partecipano Giuliano e Valgimigli nel Liceo massese è quella del 4 luglio 1916, nella quale il preside chiarisce che “ha dovuto convocare il Collegio in adunanza parziale, limitata ai professori di Liceo per lasciare libero il prof. Valgimigli di recarsi a compiere il suo dovere quale Commissario presso la Scuola Tecnica pareggiata di Castelnuovo Garfagnana, e perché gli esami del Ginnasio non sono ancora terminati”35. Dopo di che i loro nomi riappaiono quando il preside all’adunanza del 30 settembre 1916 ricorda “gli insegnanti partiti, essendo sei i professori di questo istituto che sono stati trasferiti altrove”: “Riferisce poi che i proff. Giuliano, Mondaini e Valgimigli hanno scritto inviando il loro saluto a Preside e colleghi, ed avverte che lo stesso hanno fatto a voce i proff. Marchesini e Brunetti. Riguardo al prof. Mazzoni il Preside osserva ch’egli non ha fatto saper nulla di sé”36. Giuliano è trasferito al Liceo di Cuneo e poi, l’anno successivo, al Liceo-Ginnasio “Gioberti” di Torino e Valgimigli al Liceo di La Spezia. Le loro strade geograficamente divergono, ma le loro coscienze sono adesso impegnate nella mobilitazione bellica. Entrambi partecipano ai servizi paramilitari rispettivamente con le mansioni di sottotenente e di sergente.

Valgimigli non perde i contatti con Massa nel periodo bellico, anzi continua a svolgere l’incarico di assessore alla Pubblica Istruzione del Comune e da questa sede lancia i suoi caldi proclami sistematicamente accolti dal periodico locale E Vincere Bisogna, bollettino di propaganda del Comitato di Resistenza Civile che si pubblica dal 5 dicembre 1917, dopo la ritirata di Caporetto, al 2 novembre 1918.1 suoi interventi sulle pagine del “bollettino” arricchiscono una biografia generalmente nota per le relazioni con i grandi personaggi della letteratura. Qui invece l’umanità valgimigliana pulsa dinanzi alla tragedia della guerra e dei caduti: “Di questi poveri morti mi pare si debba parlare come sotto voce, con parole quasi senza suono e senza accento. Ogni rumore mi pare debba ferire il silenzio della loro tomba in un sussulto di doglia viva [...] E un’anima silenziosa era il povero amico che vogliamo qui ricordato. Chi poteva pensarlo vestito di armi, nel fragore della battaglia? In verità, neanche ora so. Ma so pensarlo dinanzi alla morte nell’atteggiamento medesimo di commossa e lucida umanità con cui tentava il mistero nei libri della poesia antica [... ] Egli sentì che andando soldato mutava forma e abito esterni; la sua sostanza spirituale rimaneva la stessa. Sarebbe stato fedele e preciso al suo compito nuovo come al vecchio; come quando una mattina, arrestatosi per guasto l’automobile che lo menava a Carrara, corse per il monte a piedi e giunse alla scuola all’ora dovuta”37. Il povero amico e collega è Giuseppe Procacci, un oscuro e timido insegnante di provincia che silenziosamente, come quel suo andare e venire tra Massa e Carrara, affronta i rischi della guerra, non si sottrae al suo dovere e viene travolto.

Dei suoi studi di filologia e di letteratura greca e italiana non è il caso di parlare qui, e in ogni modo sarebbe proprio il momento di riesaminarli con attenzione e molto rispetto, senza le solite borie professorali e le malignità stroncatone. A me interessava parlare di quest’uomo e del suo magistero a Massa con la documentazione originale e inestimabile prodotta dal suo collega Giuliano, del quale ho cercato di mettere in luce la generosità pedagogica nel periodo in esame: la sua vicenda successiva, negli anni della dittatura fascista, sembra davvero un’altra storia, come del resto la sua instancabile produzione apologetica quasi tutta proiettata ad esaltare il regime mussoliniano. Solo nel secondo dopoguerra, dopo l’umiliazione del deferimento all’Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo, ritornerà agli studi abbandonati e ritroverà l’antica via della profondità religiosa e della sincerità intellettuale. Gli saranno di aiuto le Lettere a Lucilio di Lucio Anneo Seneca, che traduce brillantemente per Zanichelli con una commossa dedica alla moglie Silvia Marincola: “A te Silvia voglio dedicare anche questo lavoro, la traduzione di quest’opera in cui palpita così vivo il presentimento e direi quasi il desiderio della spiritualità cristiana”38. Egli morirà a Roma il 13 giugno 1958 e Valgimigli a Vilminore di Scalve in provincia di Bergamo il 27 agosto 1965, dopo aver insegnato letteratura greca nelle Università di Messina, Pisa e Padova, essere stato alla direzione della Biblioteca Classense di Ravenna da pensionato e non avere mai smarrito, a modo suo, la strada del “vecchio” socialismo mazziniano e democratico. Negli anni del fascismo al potere, quando minacce e insidie spingono anche i migliori intellettuali a cedere, e persino a prevaricare, egli persevera tranquillo e sereno nel suo antifascismo, fedele alla regola del chierico che non può tradire: “Questa è che esalta e tiene viva e sveglia la parte migliore di noi e l’allontana da impurità e contaminazioni, e noi fa degni e contenti del vivere quale esso sia che il destino ci ha assegnato; e qualunque cosa intorno ci opprima, ci dà il respiro della libertà, della divina libertà dello spirito che fa l’uomo uomo e non la bestia del branco”39. Le sue parole più autentiche rimangono però scritte nella finezza esegetica e nel gusto artistico dei commenti omerici e delle traduzioni di Eschilo, Platone e Saffo.

 

 

Note

 

1 Verbale del 18 dicembre 1911, in Registro dei verbali del Collegio dei Professori. 1910-1916 (gennaio), pp. 44-45. Tale registro è conservato nell’Archivio della Presidenza del Liceo Classico “Pellegrino Rossi” di Massa.

2 G. GENTILE, Sommario di pedagogia generale, Laterza, Bari 191S. L’anno successivo viene dato alle stampe il Sommario di didattica. Ambedue i libri, pubblicati nella Collezione Scolastica Laterza, costituiscono la Pedagogia come Scienza filosofica.

3 M. VALGIMIGLI, La mia scuola, Vallecchi, Firenze 1924, p. VI.

4 Ibidem, p. 10.

5 B. GIULIANO, Intervento in Senato del giugno 1931, in N. SICILIANI DE CUMIS, A proposito di “Visitando una Mostra”, su “La Cultura”, anno XXIV, luglio-agosto 1986, p. 372. Il fascismo di Giuliano è testimoniato da numerosi volumi e specialmente dai seguenti: La formazione storica del fascismo, Ariani, Firenze 1927; B. Mussolini, Discorsi scelti da Balbino Giuliano, Zanichelli, Bologna 1933; L’esperienza politica dell’Italia, Vallecchi, Firenze 1924, ove il Giuliano ripercorre, non senza ambiguità, l’itinerario della sua formazione politica e della necessaria fusione del nazionalismo e del fascismo mussoliniano: “A questa luce mi pare di poter ora vedere pienamente il valore dell’opera di Mussolini, attraverso il Fascismo. Egli ha compiuto col Fascismo l’ultimo atto del Risorgimento italiano, ed ha ricondotto alla legalità l’ultima rivoluzione nazionale. Egli ha interpretato la nuova anima dell’Italia formatasi dall’esperienza della guerra; ha sentito che il grido di patria gettato contro la negazione socialista assumeva il significato nuovo di un’affermazione solenne, e che risonava nell’aria come una verità sacra, ascendente dalla divina profondità dell’umanità italiana” (p. 308).

6 E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Laterza, Bari 1997, II, p. 328.

7 Verbale del 18 ottobre 1911, Registro dei Verbali, cit., pp. 39-40-44.

8 Verbale dell’l ottobre 1912, Registro dei Verbali, cit. p. 69.

9 Verbale del 3 novembre, 1912, Registro dei Verbali, cit. pp. 71-73.

10 Verbale del 18 dicembre 1912, Registro dei Verbali, cit. p. 74.

11 Ibidem, p. 75.

12 Verbale del 7 novembre 1913, Registro dei Verbali, cit. pp. 101-103.

13 G. LOMBARDO-RADICE, Lezioni di didattica, Sandron, Palermo 1952 (prima ed» 1913), p. 48.

14 Ibidem, p. 51.

15 Verbale del 16 gennaio 1914, Registro dei Verbali, cit. pp. 108-109.

16 Ibidem, p. 110.

17 Verbale del 18 novembre 1914, Registro dei Verbali, cit. p. 133.

18 Ibidem, p. 139 (Questo verbale è aperto il 18 nov. e chiuso il 19 nov. alle ore 18).

19 Verbale del 10 dicembre 1914, Registro dei Verbali, cit. pp. 143-144.

20 Ibidem, pp. 146-149.

21 B. CROCE, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari 1967 (prima ed. 1928), pp. 264-265.

22 Verbale del 22 maggio 1915, Registro dei Verbali, cit. p. 158.

23 Ibidem, p. 162.

24Verbale del 22 giugno 1915, Registro dei Verbali, cit. p. 172.

25 Ibidem, pp. 172-173.

26 Verbale del 15 ottobre 1915, Registro dei Verbali, cit. p. 194.

27 Ibidem, pp. 175-177.

28 Verbale del 23 dicembre 1915, Registro dei Verbali, cit. p. 186.

29 Ibidem.

30 “Verbale del 5 febbraio 1916, Registro dei Verbali del Collegio dei Professori. Febbraio 1916-25 giugno 1921, p. 1. Anche questo registro è conservato gelosamente nell’Archivio della Presidenza del Liceo “P.Rossi” di Massa.

31 Verbale dell’8 febbraio 1916, Registro dei Verbali, cit. pp. 2-5.

32 Verbale del 10 giugno 1916, Registro dei Verbali, cit. pp. 6-7. Questo verbale presenta una grafia diversa e una diversità d’impostazione concettuale e sintattica, e non è firmato da Giuliano, né da un altro segretario. Probabilmente è stato compilato dallo stesso preside Pitoni, che esprime aperto rimprovero a quei docenti poco

attenti alle scadenze e agli adempimenti d’ufficio. E significativo che Giuliano, che risulta presente alla seduta, non si sia prestato a verbalizzare le dichiarazioni del preside.

33 Verbale del 12 giugno 1916, Registro dei Verbali, cit. p. 9.

34 Ibidem, p. 10.

35 Verbale del 4 luglio 1916, Registro dei Verbali, cit. p. 12.

36 Verbale del 30 settembre 1916, Registro dei Verbali, cit. p. 16. Questo verbale è compilato dal nuovo segretario del Collegio prof. Dario Levi, ordinario di Latino e Greco.

37 M. VALGIMIGLI, Giuliano Procacci, in E Vincere Bisogna, 13 luglio 1918. Questo periodico è conservato nella Biblioteca “Giampaoli” di Massa.

38 L. ANNEO SENECA, Lettere a Lucilio.Testo latino e versione di Balbino Giuliano, Zanichelli, Bologna 1954- 1955, 3 voli.

39 M. VALGIMIGLI, Severino Serra e la religione delle lettere (testo del 1942), in “Uomini e Scrittori del mio tempo”, Sansoni, Firenze 1965, p. 298.