Poesie massesi di Pascoli
MASSA
Siede Massa tra lucida verzura
d’aranci, a specchio del tirreno mare;
vedi tagliente dietro lei spiccare
come un zaffiro immenso la Tambura:
verdeggiante e declive in una pura
chiarità d’alba il Belveder t’appare;
sola, in disparte sembra minacciare
nubi passanti la Brugiana oscura.
Mi sveglia il canto delle capinere
tra le magnolie, e m’assopisce un lento
ronzìo di ruote e romba di gualchiere.
Come bimbo cullato io m’addormento;
e allor fugge, allor vola il mio pensiere,
ed in Romagna accanto a voi mi sento.
Massa, 1885.
IL LAURO DI GIOVANNI PASCOLI
Nell’orto, a Massa – o blocchi di turchese,
Alpi Apuane! o lunghi intagli azzurri
nel celestino, all’orlo del paese!
un odorato e lucido verziere
pieno di frulli, pieno di sussurri,
pieno de’ flauti delle capinere.
Nell’aie acuta la magnolia odora,
lustra l’arancio popolato d’oro –
io, quando al Belvedere era l’aurora,
venivo al piede d’uno snello alloro.
Sorgeva presso il vecchio muro, presso
il vecchio busto d’un imperatore,
col tronco svelto come di cipresso.
Slanciato avanti, sopra il muro, al sole
dava la chioma. Intorno era un odore,
sottil, di vecchio, e forse di vïole.
Io sognava: una corsa lungo il puro
Frigido, l’oro di capelli sparsi,
una fanciulla … Ancora al vecchio muro
tremava il lauro che parea slanciarsi.
Un’alba – si sentia di due fringuelli
chiaro il francesco mio: la capinera
già desta squittinìa di tra i piselli –
tu più non c’eri, o vergine fugace:
netto il pedale era tagliato: v’era
quel vecchio odore e quella vecchia pace:
il lauro, no. Sarchiava lì vicino
Fiore, un ragazzo pieno di bontà.
Gli domandai del lauro; e Fiore, chino
sopra il sarchiello: Faceva ombra, sa!
E m’accennavi un campo glauco, o Fiore,
di cavolo cappuccio e cavolfiore.