Pascoli professore liceale


Dal volume “Giovanni Pascoli a Massa” Biblioteca civica di Massa, 1988, Curato da Rodolfo Polazzi

Testo di Luigi Mannucci, professore di latino e greco presso il liceo P. Rossi

Riprodotto nell’Annuario del Liceo Rossi 1945 - 2010

Giovanni Pascoli professore a Massa. 1884-1887 

Il documento che c’interessa è il «Programma d’insegnamento del latino e greco nel Liceo per l’anno 1884-85», nel quale il Pascoli, dopo aver minutamente indicato il metodo che intende seguire «con discrezione e ragionevolezza», onde quello degli alunni sia «lavoro», non «travaglio», così si esprime a mo’ di conclusione: «Il mio sogno è di ridestare, prò virili portione, ne’ cervellini d’oggi giorno le memorie antiche soffocate o nascoste sotto le frasche moderne, di riamicare ai loro progenitori queste coscienze illanguidite dalle ebbrezze della novità; di restituire alle loro menti il gusto della bellezza, che è piuttosto allontanata che vanita, e l’abito del ragionare che s’è piuttosto smarrito che perduto».

Quanta ingenuità in queste parole! Ma forse io dico male: egli conosceva uomini e cose, ma non sapeva rinunziare al suo sogno.

Nella relazione finale del Luglio ’85, egli dice al suo Preside di esser costretto a ripeter quello da lui già detto ad altro Preside nei due precedenti anni scolastici nei quali ebbe il «doloroso e nobile ufficio d’insegnante»: nei licei non c’è latitudine d’orizzonte»; negli scolari di liceo non c’è «anima ideale». «I migliori son quelli che fanno, appuntino, né più né meno, i loro compiti; non dico il loro dovere, che è troppo più e meglio. Manca in loro la curiosità che avviva, la fede che sprona allo studio; e il fine che si propongono è la licenza o anche, i più svegli e gravi, la laurea: fine prossimo e fine remoto. Più oltre non vanno, povere fantasie, miseri cuori! E il liceo è per loro un tratto di strada* troppo lungo se anche comodo, che eglino pensano dover fare non per necessità propria ma per capriccio altrui! E così tirano avanti con un certo fare dinoccolato, e pure andando adagino si lagnano, a ogni tratto, di non essere ancora arrivati. Li vorrei piuttosto riottosi e che in un impeto giovanile piantassero la guida e tornassero indietro». Potrebbe farsi una diagnosi dei mali che affliggono i nostri licei, più sicura di questa? Ciò, badiamo, non significa che fra molti non vivi, qualche vivo non vi sia, e anche nella scuola del Pascoli ve n’erano. Passando infatti, dalle osservazioni di carattere morale, a render conto dei suoi alunni di Massa, alcuni ne indica degni di lode, e d’ingegno «maturo e anche vivo». S’intrattiene poi a schizzare come dei ritratti minuscoli, con poche linee sì, ma espressivi al summum. Così, di alunni dice che potrebbero fare e non fanno, perché il loro studio non è pari al loro ingegno, o perché una tal leggerezza e fanciullezza guasta i frutti che il loro ingegno e il loro studio potrebbe dare; di altri nota che «non hanno attitudine pari alla diligenza», o che hanno «poca voglia e molto ingegno»; per qualcuno osserva che «ha un po’ più di voglia e molto meno d’ingegno». Di un tale, argutamente rileva che ha ingegno, ma che «l’adopera una volta o due all’anno: agli esami»; di un tal altro dice che «non si sa se sia minore l’attitudine o lo studio»; di un terzo scrive che è «uno zero per l’attitudine e una quantità negativa per lo studio». A proposito di tre alunni, nota la pochissima diligenza e assiduità ed aggiunge “progresso non credo ne abbiano fatto: sapevano poco, sanno poco; tanto poco che non si può misurare». Curioso è il giudizio che dà di un altro terzetto: «Erano tre e si potevano considerare come i tipi o i campioni di tutte le verità di scolaresca; l’uno studiava e non aveva ingegno; l’altro aveva ingegno e non studiava; il terzo né aveva ingegno né studiava». Segue, la relazione, dando conto in breve del metodo tenuto nell’insegnamento, specie di quello della storia letteraria. Nella relazione dell’anno dopo, che porta la data 15 luglio 1886, il professore appare più contento; «ho fatto come doveva, secondo poteva. Dei ragazzi non ho a lamentarmi. Di quelli del primo anno mi lodo anzi e mi compiaccio. Essi sono diligenti e buoni, né gli altri si sono portati male; sebbene potessero portarsi meglio». Evidentemente il benevolo influsso di sì colto e geniale maestro incominciava a farsi sentire sulla scolaresca.

Come insegnava il Pascoli? Il primo giorno dell’anno scolastico 1884-85, quando si presentò a far lezione alla prima liceale, chiamò un alunno alla lavagna e gli dettò due righe di greco, il cui significato era press’a poco il seguente: «Io sarò buono cogli agnelli, terribile coi lupi». Ma non mantenne la parola, perché fu sempre buono con tutti, quantunque bisogni pur dire che al Liceo di Massa, dei lupi non ve ne sono stati mai. Durante la lezione amava leggere e tradurre insieme agli scolari passi di classici all‘improvviso, facendo, via via. rilevare le bellezze di pensiero e di forma; ma spesso avveniva che talmente s’infervorasse, che la traduzione finiva col farla lui. Gli piaceva anche esercitare gli alunni a tradurre in esametri latini poesie italiane, segnatamente del Carducci. Eccessiva importanza, forse, dava alla metrica greca e latina, riempiendo spesso la lavagna di asclepiadei, ionici, giambici, ecc., con poca soddisfazione e pochissimo profitto degli scolari che raramente lo seguivano. Nella seconda e nella terza classe curava maggiormente la lettura degli autori e la stilistica.

Quanto alla condotta, abbiamo già visto che, in genere, era buona. Nella relazione citata del 1885 dice: «La condotta è stata sempre lodevole nella più parte: gravi mancanze non ne ho vedute o sapute di nessuno: c’è qualche chiacchierino: ecco tutto». Di quel terzetto però, il cui sapere non si poteva misurare, nota: «Sono distratti e disattenti e poi hanno avuto tra loro non so che taccolare». Un solo incidente un po’ grave avvenne nella sua scuola durante i tre anni del suo insegnamento: un aspro litigio fra due alunni. Del resto, il Pascoli non esigeva (e secondo me faceva bene) l’immobilità assoluta come pretendono alcuni mummificatori di scolaresche; ammetteva anzi una certa libertà di movimento. Avveniva tuttavia che qualche volta s’inquietasse, ed allora la sua faccia solitamente bonaria, assumeva un’espressione cupa; sgranava gli occhi, mentre le guance gli si coloravano, e con un moto istintivo si cacciava le mani entro la folta capigliatura tendente al fulvo, e prorompeva in qualche accento dolorosamente iroso. Rimaneva immobile e pensoso per qualche istante, finché, avvolgendo con un’occhiata carezzevole la classe silenziosa ed afflitta, riprendeva a spiegare o chiamava confidenzialmente qualche alunno, mentre un sorriso veniva ad illuminargli tutta la faccia. La tempesta era passata presto.

Raramente faceva allusioni politiche; lasciava però intravvedere di nutrir sentimenti anticlericali, tanto che una volta ebbe ad esclamare: Piuttosto che avere a capo della nazione un’avvocatucolo (alludeva a Grevy, allora Presidente della Repubblica Francese), che amoreggi col Vaticano, preferisco avere a capo chi appartiene a famiglia religiosa, che ha anche dei santi; ma che è la sentinella avanzata dell’anticlericalismo a Roma. Riguardo alle idee politiche del Pascoli, il prof. Ernesto Pranzetti (oggi Preside di Liceo) che fu discepolo a Massa nel 1885-86 scrive: «Benché non nascondesse le sue tendenze socialiste, non tralasciava occasione alcuna per insegnare ai giovani il rispetto alla legge. Ricordo a questo proposito che a Massa, traducendo il Critone di Platone, si fermò a lungo sul concetto che le leggi debbono essere osservate dai cittadini anche quando siano ingiuste».

E agli esami? Era piuttosto indulgente, e, specie negli orali, giudicava

più per concetto, che dall’esito.

A scuola andava puntuale, coi libri sotto il braccio, e vestiva piuttosto dimesso e un pochino trascurato.

Fra i documenti da me consultati v’è una letterina assai importante, come quella che rivela le amorose cure da lui date alla scuola fino dai primi mesi, per mettere gli alunni in condizione di poter migliorare.

È la seguente, con la quale accompagna lo specchietto delle medie del primo bimestre (fra parentesi: non vi mancano i mezzi punti: 51/2, 61/2, ecc.: pedanteria?);

lll.mo Sig. Preside.

In questo primo bimestre mi sono occupato a sperimentare i giovani a provvederli delle cognizioni delle quali avevano difetto, a prepararli al lavoro assiduo e progressivo che farann di qui innanzi. Perciò ho assegnato loro pochi lavori domestici, specialmente scritti, premendomi che prima di fare sapessero come dovevano fare. La classificazione quindi che io le presento è dedotta più dalle orali scolastiche  che dalle domestiche scritte, ed è perciò unica e complessiva, e riesce meglio un’estimazione dell’attitudine de’ giovani che una votazione del loro progresso.

Se a lei importasse aver la votazione doppia, potrà ripetere il numero della votazione complessiva.

Con rispetto e stima me le dichiaro

obbl.mo

  1. Pascoli

Massa 4 gennaio ’85. :

Semplice letterina; ma quanto buon senso, e quanta conoscenza della scuola! Qual fosse il numero dei compiti domestici che egli era solito assegnare agli alunni, si rileva dal verbale dell’adunanza del Collegio dei professori del 14 ottobre ’85: «Settimanalmente una versione ed una retroversione pel latino, ed un lavoro dal greco». Che differenza fra il professore Giovanni Pascoli e certi professori che pare non abbiano che una missione, quella di soffocare addirittura gli allievi! Non è il molto che- giova, sì il buono! È una buona revisione oculare, precisa, persuasiva, animata! Il resto è borra. Ma lasciamo queste malinconie, e torniamo al prof. Pascoli. Che il suo insegnamento fosse veramente lodevole, lo dimostra (oltre il parere del Collegio degli esaminatori intorno all’opera delle Commissioni per la licenza liceale) questo giudizio espresso da Girolamo Vitelli, dopo avere, nel marzo del 1886, ispezionato le tre classi liceali: «Per ciò che riguarda la scuola di greco e latino nelle classi liceali, il prof. Vitelli è lieto di aver trovato nel prof. Giovanni Pascoli un dotto e valoroso insegnante, che ha idee perfettamente esatte intorno allo scopo degli studi classici nelle scuole secondarie e al metodo più acconcio per raggiungerlo. Il prof. Pascoli ha rara versatilità d’ingegno, gusto squisito, studi larghi e cognizioni precise, così in lingua e letteratura greca, come in lingua e lett. latina; e se sotto la guida di così eccellente professore non si raggiunge nelle tre classi del Liceo quel grado di erudizione classica che a priori si crederebbe dovesse essere raggiunto, bisognerà senza dubbio cercarne altrova la causa, e segnatamente nelle condizioni delle scuole del Ginnasio, che, come risulta da comunicazioni del sig. Preside, non sono state molto felici negli anni passati». (Verbale dell’adunanza del 29 marzo 1896, firmato anche dallo stesso prof. Vitelli).